Inhalt der Website:: La Lupa ist anders. Wenn die in Zürich lebende Tessinerin italienische Lieder oder Gedichte singt, taucht sie in die Ozeane der Gefühle ein - und mit ihr das Publikum. Was heisst singen: La Lupa erleidet die melancholisch-tragischen Texte. Dann trägt ihr Vortrag Brecht'sche Züge. Doch wo echter Witz vor (fast) nichts haltmacht, darf Tragik komisch werden, Frivolität ergreifend.
Stichworte für Suchmaschinen:: La Lupa, rote Wölfin, Produktionen, Che fortuna, Canto alla luna, Con tenera follia, Traditionen, Glückliche Tage, Interviews, Pressespiegel, Shop, Bestellen, CD
Hinweis: Sie haben die von uns definierten Style-Sheets (CSS) abgeschaltet oder Sie nutzen leider einen älteren Browser, daher wird diese Seite anders dargestellt.
Hinweis: Weitere Informationen über die Darstellung dieser Website finden Sie in den Besucherinfos
Martin Kraft
Zürich: La Lupas 20. Programm im Theater Stok
"Effimero il tempo - Vergänglich die Zeit": La Lupa hat sich für ihr 20. Programm ein anspruchsvolles Thema vorgenommen. Verhaltener als auch schon, bleibt sie doch ganz sich selber.
Die Zeit: Das Thema scheint sich eher für eine philosophische Betrachtung als für musikalische Unterhaltung anzubieten. Es finden sich einige gewichtige Namen von Augustinus bis Fernando Pessoa im Programm, das aber nach wie vor auf jenen volkstümlichen Liedern basiert, welche die Tessiner Sängerin in langen Recherchen in Archiven ihrer Heimat und Italiens aufgestöbert und bearbeitet und die Walther Giger arrangiert und komponiert hat. Und wenn das Sinnen über Vergänglichkeit und Unendlichkeit doch etwas melancholisch stimmen mag, dann bildet ihre starke Präsenz von vornherein ein gewisses Gegengewicht. Mit tänzerischer Bewegung und Gestik ergreift sie den Raum, irritiert mit ihrem hintergründigen Mienenspiel, begeistert mit ihrem phantastischen Kostüm (Cichy Lautenschläger) samt skulpturalem Uhren-Kopfschmuck von Sonja Rieser.
Aber natürlich ist es vor allem ihre Stimme, die von der Jugend an einfach da war und nie professionell geschult wurde und die immer wieder von neuem fasziniert: in ihrem unglaublichen Modulationsreichtum, der archaischer Beschwörung, verschmitztem Spottgesang, mediterraner Lebenslust und noch vielem anderen gleichermassen gerecht wird. Und auch wenn sie nur zu uns spricht, verliert diese Stimme nichts von ihrer Ausdruckskraft. Gerade im Gesprochenen hebt sich dieses Programm am deutlichsten von manchem früheren ab. La Lupa bemüht sich weniger, in witzig-charmante deutsche Conférence umzusetzen, was sie eben in oft schwer verständlichem italienischem Dialekt gesungen hat oder gleich singen wird, so dass man stärker auf dessen aussersprachliche suggestive Aussagekraft vertrauen muss. Und die Thematik legt auch selten jene aberwitzigen Erzählungen aus Boccaccios Geist nahe, die sonst so manchen Gesang präludierten. Sprüche, Detti oder Gedichte sind umso häufiger. Dafür entschädigt zum Abschluss der alltagsnahe, grotesk-komische Dialog zwischen zwei Zürcher Frauen, die der Vergänglichkeit auf ihrer Weise zu Leibe rücken wollen: mit Lifting.
Oberflächliche Lustigkeit war nie die Sache von La Lupa, das wird hier deutlicher denn je. Aber auch wenn die Trauer der Vergänglichkeit zum musikalischen Ausdruck drängt, lässt mitreissender Gesang nie den Anschein von Tristesse aufkommen. Und immer wieder zeigt sich Zeit von ihrer ganz anderen Seite, als erfüllter Augenblick - sei es im aberwitzigen Ticktack-Takt des Uhrwerks, sei es im Lauf der Jahreszeiten, der von Monat zu Monat zum Daseinsgenuss mit allen Sinnen auffordert.
Harry White ist La Lupas adäquater Partner nicht nur mit dem Saxophon, sondern auch, wenn er sprechend, singend, agierend hilfreich eingreifen muss und sich dabei doch immer diskret im Hintergrund hält.
Luca Bernasconi
A colloquio con la nota artista La Lupa in scena al Theater Stock in Zurigo
Capelli vaporosi d'un rosso intenso, cappelli vistosi di fogge diverse, abiti di sgargiante eleganza, sguardo e portamento die nobil donna che incede per la via. Chi si imbatte nella Lupa non può fare a meno di notarla e d'istinto vorrebbe conoscerla. Eppure, quasi non si osa avvicinarla e importunarla tanto pare assorta nel suo mondo e dimentica di ciò che la attornia. Chi la osserva anche solo per alcuni istanti si sente catapultato dentro un'atmosfera da scena teatrale. Incontrarla nella sua casa zurighese, in cui trionfano i colori e ogni oggetto sprigiona vitalità , è stato un modo per conoscerla piu da vicino e per scoprire in lei una persona di cuore e verace, oltre che un'artista che si è fatta da sé lavorando molto anche su se stessa.
La prima impressione che si ricava quando La si incontra casualmente, è quella di una perfetta identità tra La Lupa che canta e recita sul palcoscenico, e La Lupa come donna, come persona che vive nella quotidianità . Una considerazione lontana dal vero?
No, affatto. Non mi stanco mai di ripetere che l'autenticità è uno dei valori irrinunciabili: essere se stessi, sempre, senza vergognarsene mai. Sul palcoscenico io mi sento me stessa, per quanto il teatro sia una costruzione. I miei spettacoli sono come figli miei perché sono io a crearli e a metterli in scena con l'aiuto di un regista e dei musicisti. In tal senso sento un'identità fortissima tra la vita e il teatro: ciò che porto in scena è soltanto una forma artistica di me stessa.
Lei vive con intensità e passionalità tutte le storie che racconta attraverso il canto o la parola. La sua forza vitale sempre riesce a contagiare il pubblico che assiste ai Suoi spettacoli. Qual è l'origine di questo Suo essere sanguigna?
A dire il vero io non mi accorgo di essere sanguigna, ma semmai di portare sulla scena soltanto me stessa. La combinazione della propria autenticità e della tecnica acquisita sono alla base dell'essere artisti. Chi per contro possiede solo la tecnica o solo la sanguignità , non potrà mai aspirare ad essere una vera attrice. Io non ho studiato in Accademia, sono sostanzialmente un'autodidatta che ha imparato le svariate tecniche sperimentando, esercitandomi. A casa non esercito quasi mai la voce perché non mi interessa essere una cantante lirica-in tal caso avrei dovuto intraprendere un'altra strada. Sebbene mi piaccia cantar bene, a volte sento il desiderio istintivo di cantar male, ossia di gridare; e lo faccio se lo ritengo necessario, perché a me interessa essere sincera. Io esercito soprattutto il sentimento. Nel corso degli anni ho scoperto che a un determinato movimento del mio corpo corrisponde sempre e soltanto un preciso sentimento che desidero esprimere. Se invence il movimento è un altro, sento che sto manifestando qualcosa che manca di autenticità !
Come riesce La Lupa a far propri i personaggi che in scena cantano la gioia di vivere ma anche il male die vivere, presentando la vita in tutte le sue sfaccettature?
Perché nella quotidianità ognuno di noi vive tutti questi aspetti: la gioia, la tristezza, il tragico e il tragicomico. Per creare uno spettacolo, non parto mai dalla melodia ma dal testo: ecco perché mi definisco una narratrice che racconta cantando. Quando mi trovo di fronte a un testo, ho sempre davanti agli occhi una situazione reale della mia vita o di quella di chi mi circonda: è questa a darmi l'ispirazione. Riesco a calarmi nel ruolo, quasi ci fosse un ascensore che mi trasporta dentro quell'emozione. Una volta arrivataci, io mi sento vera perché l'ho fatta mia. Il teatro è un mezzo che trasporta le emozioni. Sul palcoscenico io getto un'emozione nello spazio del teatro. Gli spettatori se ne impadroniscono, ricordandosi di una loro esperienza a me per altro sconosciuta, e si riconoscono in ciò che sto cantando perché sentono che è autentico. In tal senso, il pubblico è parte integrante dello spettacolo che si rivela sempre un'unione di anime.
Le Sue performance teatrali sono dunque un atto terapeutico.
Sono convinta che uno spettacolo valido sia sempre terapeutico. Bisogna uscire da un teatro sentendosi arricchiti quantunque lo spettacolo proponga un tema tristissimo. Se lo spettatore riconosce la propria tristezza, significa che può guarirne. Una presa di coscienza che può far bene anche se inizialmente può ferire. Un mettersi davanti a uno specchio che ci porta a conoscere meglio noi stessi. Anche per me è un grande atto terapeutico. Sulla scena io sono al massimo della mia coscienza. Per quanto l'emozione sia sempre vera e forte, la posso controllare. Come in una sorta di gioco sperimento le mie emozioni per vedere fino a che punto ci si può lasciar coivolgere dall'emozione e per capire come si può uscirne.
La Lupa è uno dei personaggi femminili più noti e affascinanti della letteratura italiana, immortalata nell'omonima novella del grande scrittore siciliano Giovanni Verga. Il nome da Lei scelto ha una diretta relazione con la figura verghiana, emblema della passione?
Assolutamente no, non avrei mai osato tanto. La novella di Verga mi ha da sempre affascinata, ma l'ho letta quando già mi chiamavo Lupa. Quando ero giovane, era di moda chiamarsi con dei nomignoli di animali. I miei amici mi affibbiarono Lupa che da allora fa parte di me. Inizialmente non era dunque un nome d'arte, lo è diventato in un secondo momento. E visto che mi sembrava troppo breve, l'ho fatto precedere da un La.
Nata nella Val Onsernone sopra Locarno, da decenni La Lupa vive e lavora a Zurigo. Che cosa significa essere ambasciatrice della lingua e della cultura italiana oltre Gottardo?
Mi sono trovata in una città di lingua straniera - per quanto la Svizzera sia il mio paese - e con la mia lingua addosso mi volevo comunque esprimere, nel modo che mi è più congeniale, ossia con il canto. Ho iniziato con delle canzoni molto semplici e poi gli spettacoli sono diventati sempre più elaborati. Ho trasferito l'italianità che ho dalla nascita in una lingua nella quale mi sento sì a mio agio pur non sentendola mia. Mi servo comunque del tedesco per far capire al pubblico germanofono ciò di cui parlo, ciò che canto. Di qui che i miei spettacoli abbiano assunto una veste bilingue: per forza, inizialmente, per amore successivamente. Non avrei potuto cantare e recitare soltanto in tedesco. La necessità mi ha quindi portata a una forma artistica mista che mi va a pennello.
Che cosa ha trasferito del Suo bagaglio ticinese nella Sua vita e nella Sua professione oltralpe?
Provengo da una cultura contadina le cui forme espressive erano legate alla religiosità e alla natura. Una ricchezza che ho nel sanque e che mi apparterrà sempre, per quanto io non abbia sofferto la vita di stenti dei miei avi, considerandomi un'emigrante di lusso. Ho lasciato la Val Onsernone e sono arrivata a Zurigo dove avevo un impiego con un salario. Lavoravo, certo, ma ho anche fatto la bella vita. Tuttavia, la storia della mia valle, fatta sostanzialmente di povertà ma anche di grandezza, è iscritta nel mio patrimonio genetico.
Conosciuttissima e apprezzatissima dal pubblico svizzero-tedesco, la Sua notorietà al sud delle Alpi sembra essere più offuscata. Quali ne sono le possibili ragioni?
Io posso cantare molto di più per il pubblico svizzero-tedesco che per quello ticinese perché nella mia terra d'origine non ho grandi possibilità di esibirmi. Unica eccezione è il Teatro Dimitri che frequento e amo molto. In altri teatri, invece, i miei spettacoli non sembrano suscitare l'interesse di chi li dirige, per quanto non mi abbiano mai vista in scena dal vivo. Non so spiegarmelo, perché di fatto non ho mai ascoltato motivazioni chiare e nette. Certo, fosse per me, farei volentieri delle tournée in Ticino, ma purtroppo non posso decidere.
Lo stile della Lupa ha un accento inconfondibile. Non ha mai sentito l'esigenza di trasformarsi in una lonza o in un leone, fuor di metafora, di cambiare genere del Suo fare artistico?
No. Perché penso di cambiare molto nell'ambito dei miei spettacoli che sono sempre diversi. Cambiare restando però sempre me stessa: penso sia l'unica via di proporre una forma artistica autentica. Noi pensiamo sempre di non essere importanti. Invece, lo siamo nella misura in cui siamo parte del mondo, della divinità : se si riesce ad esprimerlo, siamo grandi in questo. La vita è un mistero e un miracolo che dobbiamo gustare appieno.
"Effimero il tempo" è il titolo del Suo nuovo lavoro da tre settimane in scena al Theater Stok a Zurigo. La Lupa si interroga sui significati della nozione di tempo tanto nella quotidianità quanto nella poesia e nella letteratura. Che cosa ci vuole comunicare?
Non ho la presunzione di insegnare qualcosa. Voglio semplicemente parlare del tempo perché è innegabile che sia un aspetto integrante della nostra vita. Tutti siamo prigionieri del tempo. A volte ne abbiamo una percezione positiva, altre lo sentiamo come ostile. Ho voluto parlarne, talvolta in modo semplice e divertente, talaltra in modo profondo e filosofico.
Come di consueto non mancano le canzoni napoletane che Lei interpreta con un'intensa carica emotiva. Come mai questa predilezione?
Le melodie napoletane sono già di per sé bel canto. E i testi sono molto spesso scritti da poeti che con grande umiltà davano voce, mediante i loro versi, a ciò che allora erano considerate delle semplici canzonette. Le canzoni napoletane sono un magnifico connubio tra poesia e melodia. Ho imparato a cantarle, mi sono anche esibita a Napoli, città che amo moltissimo insieme ai napoletani, veri musicisti e attori innati.
Oltre alle melodie napoletane, la poesia italiana. In "Effimero il tempo" La Lupa recita con impeto "L'infinito" di Leopardi. Qual è il Suo rapporto con la parola poetica?
Adoro Leopardi che esprime delle verità essenziali che tutti conosciamo. Lui le ha però sapute rendere in un modo talmente preciso e bello da risultare un piacere estetico che si trasforma anche in piacere spirituale. Ci si ritrova su un'onda che va al di sopra della quotidianità pur esprimendo dei sentimenti quotidiani. Ognuno di noi può goderne perché la poesia appartiene al patrimonio universale. Io sono certa che chi è in grado di creare simili bellezze non abbia il sentimento del possesso. Il poeta, grazie alle sue intuizioni e al lavoro sulle parole, riesce ad esprimere queste verità che volano al di sopra della comune esistenza.